Mi piacerebbe disquisire su quanto "smart working" sia l'espressione più appropriata per definire la modalità di lavoro da casa che abbiamo adottato in questo periodo e non escludo che lo farò.
Oggi vorrei soffermarmi sugli effetti lo "smart working" ha avuto su di noi. Per la maggioranza delle persone, uscire di casa per andare verso luogo di lavoro, dove si rimane per l'intera giornata lavorativa, stabilisce una linea di demarcazione tra la vita personale e quella professionale; una sorta di confine socialmente accettato da familiari e amici e che ci consente di dedicarci completamente all'attività che stiamo svolgendo in un dato momento.
Generalmente, avendo consapevolezza della sua esistenza, si cerca di limitare gli attraversamenti di questo confine e consentire all'individuo di dedicarsi al ruolo che svolge nel ambito in cui si trova. Tant'è che spesso rispondendo al telefono ci sentiamo chiedere come prima cosa "ti posso disturbare?".
Lavorare da casa ha significato per molti l'eliminazione di questa separazione netta tra ruoli. La presenza di compagni/compagne, genitori e figli sotto lo stesso tetto nello stesso tempo ci ha messo di fronte ad una osmosi continua tra la vita personale e professionale. Le incursioni e interferenze della sfera personale durante il lavoro e viceversa sono diventate molto più frequenti.
L'inevitabile conseguenza è dovere impiegare energie per gestire queste interferenze. Dobbiamo cambiare contesto o anche semplicemente distogliere l'attenzione per prendere atto delle richieste che ci arrivano e decidere se occuparsene subito o successivamente. In ultima analisi, tutto ciò può essere un'ulteriore fonte di stress.
Mi piacerebbe conoscere la vostra esperienza in merito. Come avete vissuto lo "smart working" e soprattutto quali stratagemmi avete adottato per proteggere i vostri spazi personali e professionali? Commentate qui sotto.
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